Al di là della moltitudine di atomi e cellule che ci compongono, alla divisione anatomica del nostro corpo e alla moltitudine dei processi neurobiologici; oltre al nostro stesso io e al calderone di pulsioni e desideri che dietro ad esso si cela, cos’è che permette a ciascuno di cogliere se stesso come soggetto unico della propria individualità? Cosa porta a percepirsi in una qualche posizione nello spazio divenuto macroscopicamente e microscopicamente sconfinato? Cosa lega più o meno saldamente l’infinità di istanti nel flusso delle nostre esperienze? Cosa ci porta, implicitamente o esplicitamente, a riconoscere l’essere di ciò che è altro da noi, distinguerlo dal nostro stesso essere e riconoscere, infine, che ciò che vi è di comune fra noi e il tutto è proprio il fatto di essere? Noi, le altre cose e il Tutto. Sono questi i protagonisti della riflessione strutturalmente legata allo sviluppo della nostra individualità, della nostra civiltà e della nostra stessa umanità. A questi vi si deve aggiungere il Nulla, richiamato inevitabilmente dall’inquietante idea dell’antitesi del Tutto. Sono riflessioni la cui voce resta spesso strozzata da una quotidianità sempre più colma di impegni impellenti e facili distrazioni.
Ricordo l’occhio cinico, tipico di molti adolescenti, con cui giudicavamo la nostra professoressa di lettere classiche quando diceva che la visione di Atena da parte di Achille, non fu una semplice costruzione mitica, ma rifletteva una percezione della realtà differente che col tempo è andata perduta. Odiava la parola “progresso”, vulgata della società contemporanea che non si rende conto di essere piombata nell’età del ferro decadendo da una beata età dell’oro.La guardavamo come una vecchia saggia, polverosa e obsoleta, nostalgica di un mondo che non esiste più e che forse non è mai neanche esistito;tutti proiettati nell’ormai prossimo inserimento nell’ambiente sociale e lavorativo; consapevoli che quei momenti di futili problematizzazioni sarebbero stati accantonati di lì a poco per dare spazio al più utile studio tecnico di una facoltà di medicina o di una prestigiosa università di economia. Ma se avessimo provato ad astrarre quei contenuti dalla conversazione fra cattedra e banco, dalle mura dell’aula e dall’edificio scolastico, forse, ci saremmo resi conto che, al di là della nostra disincantata visione del mondo, si presenta un sentiero,tortuoso e forse senza fine,il cui percorso spande una luce che squarcia il buio della realtà.
Da quell’ancestrale senso di thauma, di paura e inquietudine, generato dall’immensità del Chàos che ci si pone prepotentemente dinanzi, mescolando la molteplicità delle cose e dei fenomeni e opponendosi alla nostra piena comprensione, la filosofia prende la parola per volgersi con meraviglia verso il Tutto e ordinarlo nel Kosmos di cui noi e tutto il resto siamo parte. La radice della parola physis, natura, da cui deriva la nostra “fisica”, rimanda a due significati: “essere” e “luce”. Quest’ultimo termine (phaos) è strettamente legato anche al significato etimologico di sophia: la philosophia che indaga la physis vuole portare alla luce la verità dell’Essere inteso come Tutto. Ed è proprio questo Tutto ed il nostro essere al suo interno che caratterizzano la riflessione di gran parte della cultura greca; è il terrore verso il suo contrario,il Nulla, a spingere l’eroe omerico a rischiare la vita per ottenere la gloria che lo possa salvare dalla morte e dall’oblio. In questo senso l’indagine sul Tutto e sul Nulla, sull’Essere e sul non-Essere, assume un carattere esistenziale: che rapporto c’è fra la nostra precaria esistenza, in un mondo soggetto ad un perpetuo divenire, dove ogni cosa nasce dal nulla e torna nel nulla, e il Tutto ordinato che racchiude in se questo mondo con i suoi fenomeni? Al di là delle grandi differenze che distinguono ogni dottrina, la filosofia antica manterrà costantemente come nucleo centrale il Tutto.
Cosa è rimasto di questo Tutto? Oggi è sempre più difficile cercare la risposta; anzi, è sempre più difficile porsi la domanda. La moltiplicazione e la tecnicizzazione dei saperi ha sezionato lo studio dell’essere in un’infinità di discipline sempre più specifiche e monotematiche; i nuovi mezzi di comunicazione hanno accelerato il divenire con un flusso torrenziale di informazioni; la società dei consumi ha riempito la nostra esistenza di merci che nascono e muoiono repentinamente; la scienza procede inarrestabile nella sua minuziosa descrizione di ogni dettaglio, circoscrivendo e separando ciascun punto dell’universo. Il Tutto si presenta come un infinità di frammenti divisi e distinti. Il nostro stesso essere è confuso, dilaniato fra corpo e mente, fra razionalità e pulsioni, fra interno ed esterno: ha perso i contatti con il Tutto. Non trova dialogo con quei frammenti isolati e privi di senso; naufrago in un mare di solida materia dove la zattera della filosofia non riesce a navigare. All’essere indistinto di tutte le cose che trovavano la loro determinazione nel Tutto abbiamo sostituito un essere distinto di ogni cosa che oltre sé rimane indistinto: cosa è rimasto al di là di ogni oggetto? Il Nulla. Quel “solido nulla” dello Zibaldone che ha preso il posto di quel fluido Tutto che tutte le cose riuniva in sé.
Le scienze moderne hanno ottenuto il monopolio del sapere e della verità: tutto ciò che non passa il vaglio dei suoi rigidi criteri dimostrativi non merita di essere preso troppo sul serio. Questo dogmatismo va a creare una lacuna nella piena compressione delle cose e dei fenomeni, dal momento che l’indagine scientifica si limita ad un fine descrittivo e alla ricerca della sola causa materiale, tralasciando,quindi, le altre cause aristoteliche (formale, finale ed efficiente) che ci porterebbero a cogliere l’essenza e il fine di ogni oggetto in esame producendo,dunque, una conoscenza più piena(epistème). L’atteggiamento che ne deriva è quello di un freddo materialismo, ben diverso da quello che caratterizzava alcune dottrine antiche. Per l’atomismo e lo stoicismo, lo studio della fisica si proponeva di trovare la radice comune di ogni corporeità e di cogliere, dunque, il senso dell’essere nel mondo fisico e il ruolo dell’essere umano e del suo agire al suo interno. Quello di oggi è un materialismo che si potrebbe indicare come “passivo”: un materialismo che non pone domande, che osserva e cataloga, come per inerzia, tutto ciò che gli si presenta davanti senza aspettarsi alcuna risposta che vada oltre il to òti (il che) e trascurando fortemente il to diòti (il perché). E’ un materialismo quasi inconsapevole, che non si rende conto degli effetti che provoca sulle riflessioni esistenziali. E in cuor mio sono convinto che qualunque individuo, che si presenti come materialista in questo senso moderno, e che continui a condurre con grande serenità la propria vita, o non si rende conto, per distrazione o superficialità, dell’orrore del nulla che va professando o conserva,inconsapevolmente, una grande fede in qualcosa tale che, se riuscisse a coglierla scavando dentro se stesso, lo porterebbe a non definirsi poi così materialista.
Le neuroscienze riducono l’essere umano al suo sistema nervoso. L’Essere in questa visione sembrerebbe più qualcosa che ci appartiene come possesso, dal momento che nessuno riuscirebbe effettivamente a individuare se stesso con le proprie parti corporee: noi “abbiamo un cervello” non “siamo un cervello”. In questo senso potremmo dire che per le neuroscienze noi possediamo il nostro Essere ma non siamo il nostro Essere. Siamo separati dai noi stessi, non in senso sostanziale,perché sicuramente il nostro corpo è parte di noi, ma nella misura in cui difficilmente ci percepiamo effettivamente come un insieme di organi e cellule tangibili e separabili.
Dunque, anche l’indagine scientifica del fenomeno “essere umano” si riduce ad una spiegazione delle cause materiali che, per certi versi, “vorrebbe dire non essere in grado di distinguere che altro è la vera causa, altro è ciò senza cui la causa non potrebbe mai essere causa” come farebbe ripetere Platone a Socrate.
Per quanto riguarda la politica, l’individuo tende a distanziarsene sempre di più. La preoccupazione principale è conservare e allargare il più possibile le proprie libertà individuali a discapito della diretta partecipazione al potere politico. Si tratta di quella libertà “negativa”, tipica del liberalismo, che spinge inesorabilmente all’individualismo e al solipsismo che caratterizzano la società contemporanea. Anche qui la distanza dai Greci è fortemente marcata. Per il cittadino greco la libertà consisteva proprio nell’essere parte del corpo politico e ancora, dunque, nel sentirsi come unità di un tutto individuato politicamente con lo stato della polis.
La tendenza è sempre volta al distacco, alla separazione, alla frammentazione, all’individualizzazione, allo smarrimento nel molteplice, al bisogno di distrazione e infine al consumo.
La sessualità, dall’oscura prigionia delle coercizioni e dei tabù, è stata portata alla luce, non per essere lasciata libera nella sua spontanea naturalezza, ma per essere messa al guinzaglio ed esposta alla fiera del mercato di massa, suddivisa, impacchettata ed etichettata per attrarre il maggior numero di soggettività sessuali possibili.
La caverna si è espansa. Colma di oggetti di desiderio da consumare in ogni istante, continuamente rimpiazzati da altri, che si mostrano differenti, ma che offrono lo stesso mediocre appagamento, lasciando sempre un po’ di spazio vuoto e portandoci,assuefatti, a volerne sempre di nuovi, di diversi, nel disperato tentativo di colmare quella strutturale mancanza che ha suscitato le prime riflessioni e che ci è propria indissolubilmente in quanto esseri separati dal Tutto;mancanti proprio rispetto a quello stesso Tutto. Uscirne sembra impossibile.
Dunque, come reagire a quella problematica esistenziale sul rapporto fra il nostro essere e tutto il resto? La risposta è nell’immersione più totale e alienante in questo “solido nulla” che ci siamo lasciati intorno. Sopprimiamo il più possibile la questione. Lasciamoci sopraffare dalla competizione del mercato del lavoro, il tempo stringe non possiamo farci scavalcare. Nel tempo libero abbandoniamoci al divertissement per distrarci dal nichilismo in cui ci siamo relegati. Il mondo oggi permette di balzare da un posticcio di desiderio all’altro in men che non si dica,producendo e vendendo senza sosta. Ingozziamoci di piaceri istantanei. Attacchiamoci alle altre persone per rimanere soli il meno possibile. Raccontiamoci di essere felici senza chiederci nemmeno cosa voglia dire. Dimentichiamoci della nostra esistenza.
E se per ,qualche ragione, dovessimo iniziare vedere le cose da un’altra prospettiva, renderci conto dell’automatismo delle nostre azioni, della vanità dei nostri progetti, della fragilità delle nostre certezze, senza riuscire ad immergercisi nuovamente come se nulla fosse, e ormai troppo distanti dalla ricerca di quel Tutto che conferisce armonia e significato a ciascuna cosa, allora saremmo pronti a colpevolizzare la nostra psiche irrequieta sul lettino di uno psicologo o i nostri nervi malati imboccando una pillola prescrittaci da uno psichiatra.